lunedì 16 dicembre 2013

Menti inferme. Morire di cemento in un paese che scompare


Mal di cemento. Negli ultimi cinque anni il consumo di suolo in Italia è cresciuto al ritmo di oltre 8 metri quadrati al secondo, pari al 6,9% del territorio nel 2010. Per ogni italiano sono andati persi più di 340 mq all'anno. Ogni 5 mesi perdiamo una quantità disuolo pari a quella del comune di Napoli e ogni anno ad essere divorata dal cemento è un'area vasta quanto Milano e Firenze.




Ci sono molte menti inferme in Italia. Torino ne ha la sua buona parte, ed esse trovano naturalmente nella Gazzetta del Popolo il più sostanzioso pascolo di ghiande. Il signor Sebastiano Lissone, di professione uomo pratico, non è dei meno sognanti ad occhi aperti. L’utilizzazione dei piccoli spazi incolti gli fa già vedere un raccolto di fagioli e patate da ovviare in gran parte alla carestia attuale. E siccome sogna ad occhi aperti, si libera dalle facili obiezioni degli scettici (che non sono scettici, ma hanno delle cose una visione realistica) con una semplicità degna di miglior fortuna. Per lui è una leggenda che esistano in Italia vaste estensioni di terreni incolti suscettibili di coltivazione proficua, perché, dice, l’Italia non è un paese con molte terre incolte, ma piuttosto con molte terre coltivate male. E così il signor Lissone fa una confusione comodissima. Confonde le terre incolte, di cui tanto si parlava prima della guerra (e per questo lato egli può aver ragione), con le terre già coltivate e che oggi, per mancanza di braccia, sono lasciate in abbandono. Pensare di sostituire il lavoro di qualche milione di agricoltori, professionisti, con la coltivazione dei margini stradali, ecco ciò che è sommamente ridicolo, e cui il signor Lissone dovrebbe cercare una giustificazione economica e politica.
Diamo un esempio che calza a meraviglia. Abbiamo avuto una lunga conversazione con un amico ritornato ultimamente dalla Sardegna, una regione d’Italia che è completamente agricola. La Sardegna ha avuto l’anno scorso una gravissima crisi, ed un’altra ne sta subendo in questi giorni. Nell’estate dell’anno scorso la Sardegna fu mezzo invasa da incendi spaventosi che distrussero la parte di raccolti non ancora mietuti, distrussero chilometri e chilometri quadrati di bosco, assediarono intieri villaggi, carbonizzarono migliaia di capi di bestiame grosso e minuto. In questi giorni la Sardegna è stata allagata da alluvioni torrentizie che invasero villaggi, interruppero linee ferroviarie, fecero deragliare i treni, e sommersero e imputridirono i seminati.
Tutto ciò è avvenuto in Sardegna per il caos creatovi dalle autorità, dai provvedimenti governativi. Ed a questa distruzione di ricchezza, a questa mancata produzione di ricchezza i sofi balordi vorrebbero sopperire col coltivare i pezzetti di terreni incolti, i giardini pubblici, le piazze d’armi, mentre contemporaneamente le terre sempre coltivate, le terre educate dalle culture metodiche degli agricoltori di professione, o rimangono abbandonate o vengono rapinate dalla furia degli elementi. E con questo cambiar di lato, che gli fa fare sogni strabilianti, l’infermo crede di aver trovato finalmente la via della salvezza.
Antonio Gramsci, 1917
Non c'è molto da aggiungere. E' passato un secolo, le lezioni passano mai imparate, le cose accadono e riaccadono sempre uguali. 
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Il suolo è una risorsa non rinnovabile che l’uomo, con le sue attività, ‘consuma’: le abitazioni, le strade, le ferrovie, i porti, le industrie occupano porzioni di territorio trasformandole in modo pressoché irreversibile. Il ritmo di questi processi è cresciuto parallelamente allo sviluppo delle economie: quello dell’aumento del consumo di suolo è un fenomeno globale, ma che è più problematico in paesi di antica e intensa antropizzazione come l’Italia, in cui, per la scarsità di suolo edificabile, l’avanzata dell’urbanizzazione contende il terreno all’agricoltura e spinge all’occupazione di aree sempre più marginali, se non addirittura non adatte all’insediamento, come quelle a rischio idrogeologico. Nel nostro Paese è ancora fortissima la tendenza a cementificare disordinatamente il suolo libero: l’abusivismo edilizio in particolare nel Sud, la crescita a macchia d’olio delle città, l’integrale  urbanizzazione di lunghi tratti delle coste hanno segnato lo sviluppo territoriale dell’Italia contemporanea. Si costruisce per ragioni altre dalla necessità: per portare soldi nelle casse dei Comuni, per la mancanza di abitazioni in affitto, che crea una domanda di case a poco prezzo lontane dai centri abitati. Anche strade e autostrade, spesso, si realizzano soprattutto per rendere fabbricabili le aree attraversate. Una tendenza che ci allontana dalle migliori esperienze europee, dove l’attività immobiliare si concentra spesso nella riqualificazione dei cosiddetti “brown fields”, le aree ex-industriali.

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